Sono anni che seguiamo le varie complesse ed intricate vicende del conflitto in Afghanistan.
E oggi ci ritroviamo ad assistere alla fase in cui in poche settimane il paese sta tornando indietro di vent’anni, con conseguenze disastrose per la maggior parte della popolazione. Noi siamo qui a migliaia di km di distanza a cercare di capire perché stia succedendo tutto questo e nel cercare un colpevole diventiamo forse frettolosi ed approssimativi.
Trovare una risposta che spieghi quello che sta accadendo è difficile ma in parte una spiegazione ce la può dare una frase di “Mille splendidi Soli” di Khaled Hosseini:
“E’ insensato, oltre che pericoloso, tutto questo dire io sono tagiko, tu sei pashtun, lui è hazara e lei è uzbeka. Siamo tutti afghani, questa è la cosa che conta. Ma quando un gruppo domina sugli altri per tanto tempo… C’è disprezzo, rivalità. Ecco cosa c’è.”
Il problema quindi è che ogni attore di questo conflitto ha agito considerando nemico chiunque sia diverso da sé.
Ha agito con il proposito di “dominare” e credendo di non poter comunicare con chi porta un nome ed idee differenti.
Un conflitto che vede nelle armi, nelle proibizioni, nella privazione di diritti umani, il risultato di un conflitto ancora più grande e radicato all’interno degli esseri umani.
Frutto di una storia complessa che dura da anni di grandi implicazioni politiche ed economiche, ma che continua a portare con sé la storia, oltre che di un popolo, di persone. È lo sguardo d’odio con cui l’uomo guarda il mondo attorno a sé, vedendo il nemico nella diversità di genere, pensiero, orientamento religioso, dove l’unica soluzione è sottomettere, e dunque derubare il singolo del suo essere sé.
Agire con odio massiccio pesa sull’uomo portando alla brama di svuotare ogni persona della sua individualità, o anzi peggio, la svuota tanto da non farlo più essere una persona degna di diritti, idee, desideri, vita. Solo carne da macello per una battaglia che non avrà mai fine finché non si deciderà di uscire da questa coltre di nebbia scura, che impedisce il confronto con il diverso, il dialogo, la condivisione. Che impedisce di vedere che siamo tutti afghani, anche se viviamo in parti del mondo opposte, perché siamo umani, chiamati a proteggere la nostra e altrui umanità .
Uscire dal conflitto per dare spazio al dialogo in queste situazioni è senza dubbio complesso, ma pensiamo che quando qualcuno agisce non considerando che “siamo tutti umani” succede quello che ci stiamo ritrovando a vedere in questi giorni.
Allora, mentre guardiamo i notiziari e pensiamo che quello che sta accadendo non ci piace, stiamo dicendo che non ci piace il conflitto e il dominio: questo dovremmo ricordarcelo sempre, in ogni piccolo momento della nostra giornata, non solo oggi.