Medici, infermieri e operatori sanitari lottano strenuamente in prima linea contro una situazione sanitaria drammatica che li porta a confrontarsi con la propria realtà affettiva, un mondo interno che collassa se rivive nella malattia e nella morte del paziente la perdita delle proprie dimensioni di vita, di speranza e di possibilità trasformative.
Trapelano oggi le prime notizie di medici e infermieri che non reggono il momento e nasce la necessità di un supporto psicologico che li aiuti a ritrovare una realtà affettiva valida che possa opporsi al senso di impotenza e di morte.
Oggi li chiamiamo “eroi”, in modo ipocrita, ma neghiamo il passato. Neghiamo l’assenza di una politica economica che finora non ha investito nella sanità, neghiamo le condizioni contrattuali precarie e inique in cui riversano molti professionisti, neghiamo il, nemmeno tanto trascurabile, dettaglio che prima del Covid-19, quando ancora non li apostrofavamo come eroi, lottavano contro altre malattie, gravi e aggressive, eppure non godevano dello stesso supporto mediatico.
Il termine “eroe” li pone su un piano che sembra diverso da quello degli altri esseri umani, li allontana e li microscopizza al di là dell’orizzonte, relegandoli sull’Olimpo, come uomini e donne che non provengono da questo mondo; “eroe” sembra intendere che la possibilità di prendersi cura di un’altra persona non appartenga ai comuni mortali, come fosse un privilegio raro, un Sacro Graal a cui pochi possono accedere. Invece il prendersi cura è un atto totalmente umano, semplice e spontaneo nel senso di affettivo, l’essere umano che nasce con una realtà inconscia che si esprime come interesse e tensione verso l’altro, come possibilità di soddisfare esigenze profonde attraverso un rapporto che si prende cura.
I medici che in questo momento stanno rispondendo in modo valido, che si interessano in modo vero e determinato ad altri esseri umani, che si battono per la tutela del diritto alla salute e che vedono nell’altro le possibilità di vita, indipendentemente dalla malattia, ci riescono non perché siano eroi epici, ma perché esprimono pienamente il loro rimanere “umani” nonostante il disagio e la paura implicata. È proprio grazie al personale medico e infermieristico, che porta avanti una dimensione lavorativa complessa in modo competente e valido, che ci stiamo contrapponendo alla più grande avversità del momento, che non è solo il virus ma anche le carenti condizioni sanitarie, nonostante le quali i professionisti continuano ad impegnarsi.
È di fondamentale importanza che questa stessa realtà affettiva diventi oggi la bussola che orienti nell’operato una politica nazionale ed europea, purtroppo fredda, astratta, ancora distante anni luce dall’umano. Non una capacità per pochi eletti, ma una realtà affettiva con cui nasciamo e che appartiene a tutti, che abbatte i confini e le asperità e che ci permette di riconoscere l’altro non come nemico o infettivo, ma come un essere umano con cui possiamo rapportarci.
Cristiano Anderlini