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E dopo la laurea in psicologia che faccio? Quante volte tanti di noi si sono posti questa domanda?

La laurea, infatti, è stata un obiettivo raggiunto dopo tanti anni di sforzi: esami all’università, appelli rimandati, sessioni di studio notturne e tanto altro ancora. Dopo tanta fatica ci siamo finalmente seduti davanti alla commissione ed abbiamo discusso la nostra tesi di laurea. Finalmente siamo dottori in Psicologia.

Siamo pieni di teorie, le conosciamo tutte a menadito. Sappiamo collocarle storicamente, sappiamo quali sono i protocolli da attuare in determinate situazioni e quali sono i test da somministrare quando il caso lo richiede. Sappiamo tutto quello che in cinque anni ci è stato richiesto di imparare. Questo però ancora non basta.

Dobbiamo svolgere un anno di tirocinio. Se da una parte c’è chi ha la possibilità di osservare realtà cliniche e contesti professionali stimolanti, dall’altra c’è anche chi si ritrova in delle realtà che non rispondono alle proprie aspettative, che non consentono di imparare davvero ad essere psicologo. Ma per arrivare al nostro obiettivo ci va bene anche questo.  Eppure il percorso non è ancora concluso: abbiamo dovuto svolgere un esame di stato per abilitarci alla professione. Ed anche lì abbiamo dovuto studiare molto, moltissimo. Probabilmente è l’esame più difficile fra tutti quelli che abbiamo dovuto svolgere durante il nostro percorso universitario. Conoscere giustamente il codice deontologico, saper sviluppare un progetto, essere in grado di inquadrare un caso clinico individuando un’ipotesi di diagnosi e di intervento. 

Alla fine, se tutto va come deve andare, finalmente siamo abilitati alla professione di psicologo. Finalmente possiamo esercitare la nostra professione. Finalmente siamo pronti. Ma ci sentiamo davvero pronti?

Forse no. 

Forse, in tutto questo percorso formativo, assolutamente necessario per la crescita di ogni professionista, manca qualcosa. E non parliamo per presunzione, ma per esperienza. Siamo psicologi, siamo tanti, e in tutte le nostre storie, diverse, c’è un filo comune. Il desiderio di essere degli psicologi validi che sappiano dare delle risposte e che aiutino davvero i propri pazienti. 

Parliamo perché tutti gli psicologi che negli anni si sono formati o hanno collaborato con noi ci hanno manifestato la stessa problematica: aver svolto – spesso con i migliori risultati – tutto il percorso accademico, per poi ritrovarsi ad avere paura di incontrare i primi pazienti, di non sentirsi abbastanza preparati. E non parliamo della sana paura che c’è, dell’emozione che si prova quando si fa qualcosa di nuovo, parliamo della sensazione di non essere davvero pronti, della consapevolezza che manchi un pezzo.

Noi crediamo che quel pezzo mancante sia la possibilità di conoscere e parlare della realtà affettiva, di renderci conto che la psicologia non è solo teoria ma soprattutto e prima di tutto conoscenza e comprensione della realtà umana, del paziente e dello psicologo.

Se ritroviamo questo pezzo che sembrava mancare, allora fare psicologia è possibile, una psicologia diversa è possibile, essere psicologi è possibile.

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