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Negli ultimi mesi si è discusso molto di Storia. La scelta del Ministero dell’istruzione di eliminare la traccia storica dalla prima prova dell’esame di maturità ha destato infatti preoccupazione e proteste, aprendo un acceso dibattito sull’importanza dello studio di questa disciplina. In particolare, lo storico Andrea Giardina, la senatrice Liliana Segre e lo scrittore Andrea Camilleri hanno redatto un vero e proprio manifesto per “salvare” la Storia, reintrodurre la traccia storica all’esame di maturità e rilanciare lo studio di questa materia nelle scuole e nelle università. Il manifesto, che afferma il valore della Storia come “bene comune”, come “diritto e dovere dei cittadini”, ha raccolto in breve tempo più di 50.000 firme e sembra aver ottenuto un parziale successo. La Storia, infatti, è stata decisamente protagonista nell’esame di Stato, seppur in maniera trasversale e senza una traccia specifica a lei dedicata.

Al di là del giudizio sulla decisione del ministero, c’è da chiedersi tuttavia il motivo di questo provvedimento. La verità è che, negli ultimi anni, meno dell’1,5% degli studenti chiamati a scegliere l’argomento del proprio tema ha deciso di scrivere di Storia. Probabilmente si trattava di quesiti che esulavano dal programma svolto in classe o forse di domande piuttosto complesse ed eccessivamente generali, eppure queste sembrano essere spiegazioni parziali. Per comprendere le ragioni di questa tendenza è necessaria invece una maggiore riflessione sul senso profondo della Storia e sul perché essa riscuota poco successo dentro e fuori la scuola.

Il rapporto problematico degli studenti con la Storia e con il passato ha sicuramente motivazioni a loro volta “storiche”, che riguardano l’intera società, ed è ben riassunto dalla formula coniata dallo storico dell’antichità François Hartog, il quale parla di “presentismo” per descrivere l’odierna concezione della Storia e del tempo presso la società occidentale.

Cosa significa presentismo? Una visione del tempo in cui l’orizzonte è dato esclusivamente dal presente. Non si tratta però di un presente oraziano, dettato dal carpe diem, che invita a godersi l’attimo, ad essere effettivamente presenti, ma di un presente che sembra sfuggire di mano, continuamente rincorso e subito consumato. È il presente invadente dei social network, della comunicazione immediata, del real time, della continua innovazione, un presente sempre pieno di un farema che in realtà nasconde spesso il vuoto, l’assenza dell’essere, dell’essere umano.

Presentismo significa vivere un tempo ripiegato su sé stesso in cui passato e futuro non hanno spazio. Impossibilità di ricordare e dunque impossibilità di trasformare il vecchio in nuovo, smarrimento e paralisi. Perdita del passato, della Storia, ridotta a materia da plasmare a proprio piacimento per poter raccontare il presente che si vuole. Perdita del futuro, oscurato dall’inquietante prospettiva di un pianeta in via di estinzione, disorientato dalla sconfitta di quelle ideologie che nel secolo scorso avevano guidato aspirazioni e rivoluzioni.

Una visione del tempo in cui la Storia sembra aver perso il ruolo di guida che aveva in passato.  Ma come siamo arrivati a questo punto? La concezione umana del tempo e della Storia ha anch’essa una storia.

Storia ciclica, tempo che ruota e poi ritorna, uguale a sé stesso, uomini che modellano il proprio presente sul passato dei loro avi, per imitarne le imprese, per uguagliarne la grandezza. Ripetizione, identificazione con il passato, immutabilità. Questa è la concezione antica del tempo e della Storia, la così detta historia magistra vitae, la Storia in cui il passato è exemplumda riattualizzare e ripetere nel presente.

Il Cristianesimo interviene poi, apparentemente, a spezzare l’anello ciclico del tempo antico, la Rivelazione cristiana propone una Storia lineare, in cui c’è un prima e un dopo Cristo, in cui c’è stato un inizio e ci sarà una fine di tutti i tempi, il Giudizio Universale, l’avvento del Regno di Dio. La tensione escatologica verso un imminente futuro, la ricerca del cambiamento che caratterizza le prime comunità cristiane, però, viene presto perdendosi. La Chiesa, istituzionalizzata, si ripiega sul passato, un ripiegamento che significa tradizione, conservazione, accettazione dello status quoe dunque, di nuovo, immutabilità. L’avvenire è già scritto, già compiuto e, soprattutto, resta confinato al di là dell’esperienza terrena, al di là dell’umano.

Successivamente la Rivoluzione Francese, figlia dell’Illuminismo, sembra segnare una cesura netta con la concezione cristiana della Storia: l’uomo tenta di riappropriarsi del suo avvenire, che non è più ultraterreno ma concreto, storico, perseguibile. Non più il passato, bensì il futuro si erge ora a piedistallo da cui osservare la Storia, un futuro illuminato dall’idea fondamentale di progresso, che diviene il nuovo motore e metro di giudizio del divenire storico. Se l’essere umano sembra dunque tornato al centro, esso si trova in realtà a contendere il palcoscenico della Storia con questi concetti astratti, hegeliani, di necessità, razionalità, progresso, connessi ad un’idea di ineluttabilità che in qualche modo riprende la visione cristiana, semplicemente spostandola sulla Terra. La stessa ideologia marxista, che ha animato la visione della Storia e dell’avvenire per più di un secolo, poggia su questi presupposti: la società comunista, nuovo Regno dei Cieli, è destinata a realizzarsi ineluttabilmente, razionalmente, come risultato di una storia millenaria di conflitti tra gli esseri umani.

Conflitto, razionalità e progresso sono infatti le parole chiave della visione ottocentesca della Storia. Lì dove per conflitto non si intende solo quello di classe, ma anche quello tra Nazioni, tra popoli, che trova la sua giustificazione teorica nella scienza darwiniana, e da cui matureranno le guerre e le violenze del Novecento.

Ecco dunque che ci avviciniamo al presentismo. Nel corso del Novecento si vanno infatti ad incrinare la certezza ottocentesca nella razionalità storica e la certezza positivista di un futuro di continuo progresso tecnologico. La devastazione delle guerre mondiali prima, l’arresto dell’incredibile crescita economica negli anni ’70, dopo, l’emergere della questione ambientale, il crollo del muro di Berlino e del sogno comunista, impongono una nuova visione del tempo in cui passato e futuro sembrano ormai compromessi e dove non resta che ripiegarsi sul presente. Si tratta tuttavia di un presente inquieto, alla ricerca di radici, ossessionato dall’importanza della “memoria”, continuamente preoccupato di “preservare” il proprio patrimonio culturale e ambientale, per paura di perdere la propria Storia e, con questa, la propria identità.

Sono queste dunque, a grandissime linee, le visioni fondamentali della Storia e del tempo, prospettive diverse ma in parte simili che si sono succedute in maniera non così lineare come le abbiamo descritte, bensì sovrapponendosi spesso l’una all’altra. Queste sono le visioni che ancora oggi si intrecciano nella Storia che conosciamo, quella che viene insegnata nelle scuole. Da un lato troviamo la Storia come elenco di conflitti, di guerre tutte uguali, Storia di ripetizione, di sopraffazione, di impossibilità al cambiamento: i famosi “corsi e ricorsi storici”. Dall’altro la Storia come progresso, come resoconto delle conquiste materiali dell’essere umano, come insieme di date ed eventi da imparare a memoria, la Storia razionale, nozionistica. Non c’è da stupirsi allora se questo tipo di Storia riscuote poco successo tra gli studenti. Se questa disciplina, infatti, racconta solo di una continua ripetizione e di conflitti ineliminabili perché si studia? Se la Storia si riduce ad un elenco di fatti astratti in cui manca la creatività e la complessità dell’essere umano, che senso ha impararla? Decisamente poco.

Eppure esiste la possibilità di imparare e di realizzare un’altra Storia. Una Storia che c’è e che troppo spesso viene dimenticata, non raccontata. Una Storia che parla di trasformazione umana, crescita, lotta per un cambiamento reale, che non sia ripetizione, né astrazione. È la Storia degli affetti, dei rapporti umani, della creatività umana, è la possibilità di ricordare e non cancellare per poi dover ripetere tutto da capo. Una Storia allo stesso tempo individuale e universale, che mette insieme passato, presente e futuro, senza scinderli.

È la Storia che ha raccontato lo psichiatra Massimo Fagioli. Storia reale di ciascun essere umano che, attraverso rapporti veri, che lo soddisfano nel profondo, può separarsi, ricreando dentro di sé il ricordo di quanto vissuto, per affrontare così il nuovo, per scoprirlo ogni giorno, vederlo e realizzarlo, perché ripetendo il vecchio non si realizza la storia, né la storia personale né quella universale che riguarda tutti gli esseri umani. Storia di ognuno che può essere ogni giorno “presente”, libero, portando dentro di sé il passato ma tendendo sempre verso un futuro di crescita.  Ricordare il passato non significa infatti identificarsi con esso, con i padri, con le loro imprese e le loro vite e nemmeno impossibilità di staccarsi dal vecchio, da ricercare e riproporre eternamente. Ricordare il passato significa invece non perdere sé stessi nel cambiamento, pur cambiando. Ricordare significa identità e libertà.

Questa Storia non è astratta, non parla di razionalità, perché la creatività umana non è razionale, l’essere umano non è ineluttabile, la sua crescita non si riduce al progresso materiale, se questo è integrato con una realtà affettiva non materiale. È una Storia che non può essere solo futuro, perché senza ricordo non c’è alcun futuro ma, ancora una volta, solo ripetizione coattiva e quindi stasi. Una Storia che prevede la lotta, la possibilità di scegliere, di dire un “no” che sia rifiuto del conflitto e il continuo annullamento dell’altro, perché il conflitto non è la realtà naturale dell’essere umano, bensì la negazione della sua umanità. Il conflitto appartiene all’uomo che, deluso, arrabbiato, negato negli affetti a sua volta nega, delude, annulla l’altro, che diventa il proprio nemico. La Storia di cui stiamo parlando è invece una Storia tutta umana, che non si risolve nella vita ultraterrena, né rimane soggetta alle leggi dell’Assoluto, della razionalità disumana che concepisce come normale la continua sopraffazione e il predominio dell’uomo sull’uomo, la lotta spietata per la sopravvivenza. È una Storia tutta umana perché racconta della possibilità di uno scambio continuo tra le persone, scambio di realtà affettive, dove la trasformazione e la crescita sono possibili, unico vero motore per la trasformazione del singolo individuo e dell’umanità tutta, unica realtà che possa permettere un cambiamento sincero e profondo, che non sia solo apparenza.

“coloro che sanno rendere il proprio passato storia di sé, sanno anche rendere i genitori fratelli, i maestri colleghi”

Massimo Fagioli “La marionetta e il burattino”, pag. 237, ed. 2008

Proprio la possibilità di vedere che dentro ad ogni esperienza umana c’è sempre una realtà affettiva è la chiave per comprendere meglio la Storia e perché questa torni ad essere oggetto di interesse tra gli studenti e nella società tutta; come materia che metta al centro l’evoluzione dell’essere umano in tutti i suoi aspetti, che integri il materiale dell’uomo con il non materiale dell’uomo. Come disciplina che possa parlare di creatività, di rapporti umani e non solo di guerre e di sopraffazioni e di ripetizione, comprendendo come queste ultime siano solo un aspetto del passato, e non la normalità dell’essere umano.

Questa Storia potrà dare ai ragazzi la possibilità di sentire che gli uomini del passato in fondo erano come loro, come noi, degli esseri umani e che dietro alle loro vite, più o meno gloriose, c’è stata anche per loro una realtà affettiva.  Studiare questa realtà umana, vera, fatta di rapporti concreti, integrata con tutti i campi del sapere storico – dall’economia, alla politica, dalla letteratura, alla società – permetterà ai ragazzi di fare una scoperta fondamentale: quella di essere in grado, studiando e ricordando il passato, di realizzare la propria Storia, la propria trasformazione e, attraverso questa, la Storia di tutti noi.

In questo senso allora, riprendendo il manifesto di Giardina, possiamo dire che la Storia è un diritto e un dovere per ciascun essere umano: diritto di conoscere il passato per poter essere liberi di scegliere il presente e il futuro, dovere di cambiare, crescere, lottare continuamente per trasformare noi stessi e il mondo che ci circonda.

Agnese Fanciulli

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